46/2016. Una faccenda stupefacente

Era la mattina del 25 ottobre e il signor Guido Angelotti stava percorrendo con il suo cane il tratto di spiaggia che costeggia la città di Palermo, come sua consuetudine.
Ad un tratto la sua attenzione fu colta da due grosse automobili, una Audi e una BMW, posteggiate al lato della strada. Si avvicinò alle vetture e vide che all’interno non c’era nessuno, ma stranamente avevano entrambe le chiavi infilate nel cruscotto.
Il signor Angelottii guardò intorno, nelle vicinanze non vide anima viva, guardò ancora per un attimo le due macchine e continuò nel suo cammino facendosi degli interrogativi su ciò che aveva appena visto. Dopo un centinaio di metri, a poca distanza dalla riva, vide i corpi di due uomini distesi a pochi passi uno dall’altro, entrambi con il volto rivolto verso l’alto. Erano molto giovani, la loro età era sicuramente tra i venti e i trent’anni. Uno dei due era vestito con un paio di jeans scuri e con una camicia bianca tutta macchiata di sangue, l’altro aveva invece un visibile grosso foro di proiettile qualche centimetro sopra l’occhio destro. A lato dei loro corpi c’erano anche due pistole. Il signor Guido era terrorizzato, non sapeva cosa fare, ritornò sui suoi passie si diresse verso una cabina telefonica poco distante da quel tratto di strada, infilò le mani nelle tasche e tirò fuori una monetina. Compose il 113 e non appena l’agente di polizia risposespiegò tutto ciò che aveva appena visto.Mantenne però l’anonimato, nonostante la centralinista gli avesse chiesto diverse volte le generalità.

Pochi minuti dopo arrivò sul posto con la sua auto di servizio il commissario Cortese, seguito da due pattuglie di polizia.
Alcuni poliziotti incominciarono a delimitare la zona mentre altri appartenenti alla scientifica iniziarono a fare i rilievi.
Il commissario chiese al dottor Manetti, il medico legale, l’ora indicativa del decessoed egli gli rispose che ne sarebbe stato certo solo dopo l’autopsia ma che comunque poteva stimarla circa cinque ore prima, probabilmente tra l’una e le due di notte.
Alla fine dei rilievi effettuati dalla polizia i cadaveri vennero rimossi e trasportati all’obitorio.
Ritornato in questura, l’ispettor Cortese, chiamò a rapporto il suo vice, l’ispettore Valli chiedendogli il verbale dell’accaduto. L’ispettore iniziò una dettagliata esposizione dei fatti: le due vittime erano amici di infanzia, avevano tutti e due venticinque anni e sembrava appartenessero allo stesso clan, quello degli Angello, noto gruppo mafioso della zona. I loro nomi erano: Macchi e Schiavetti due latitanti.
Erano conosciuti alle forze dell’ordine per vari reati, tra i quali furto e rapina a mano armata, ed erano stati in galera per alcuni anni nonostante la loro giovane età. Poi Cortese chiese se fossero arrivati gli esami delle perizie balistiche delle due pistole. Gli esami confermarono che i proiettili appartenevano a quelle armi.
Le autovetture erano intestate ai parenti delle vittime e su di esse non vennero trovate impronte rintracciabili. Era un delitto strano e imperfetto, nel quale sicuramente qualcosa non quadrava e c’erano ancora molti, anzi troppi interrogativi. L’unica certezza era che le armi utilizzate erano compatibili con quelle ritrovate accanto ai corpi, e non si trattava certo di due suicidi. Nè sulla strada nè sulla spiaggia avevano trovato segni o impronte utili per risolvere il caso. Il commissario Cortese decise di recarsi all’obitorio, dove Il dottor Manetti aveva appena finito l’autopsia sui cadaveri. Manetti confermò a Cortese l’ora del decesso (l’1.40 della notte precedente circa)e che i due latitanti erano entrambi morti sul colpo, quasi nello stesso momento. Il commissario guardò il cadavere di Schiavetti ed ebbe come un flash, il ricordo di un caso precedentemente risolto. Osservò i corpi di Sacchi e di Schiavetti nelle foto precedentemente scattate, poi chiamò l’ispettore e gli chiese se qualcuno avevesse toccato il corpo di ognuno dei due cadaveri prima delle foto,l’ispettore rispose di no.

Cortese spiegò al suo segretario Dossena che i corpi dei due cadaveri erano distesi a terra in posizione supinae che attorno a loro la sabbia era pulitissima, nessuna goccia di sangue. È assai improbabile che se qualcuno spara il corpo cada in una posizione perfetta e senza lasciare alcuna goccia di sangue a terra; quindi qualcuno dopo aver commesso l’omicidio  ha trasportato i due corpi alla spiaggia per depistare le indagini. La faccenda inizia a farsi intrigante…                                                                                                                   Il giorno dopo in commissariato arrivò una lettera anonima indirizzata al commissario. Cortese non esitò,appena vide la lettera gli si illuminarono gli occhi. Il mittente, nonché assassino, aveva commesso un gravissimo sbaglio, sigillare la busta. Il commissario afferrò violentemente il telefono e digitò il numero 08223468, dopo qualche secondo una voce autorevole e impostata disse:

-“ Ufficio polizia scientifica, buongiorno, con chi ho il piacere di parlare?”

-“Ciao carissimo, sono il commissario Cortese”

-“Ciao, a cosa devo questa tua telefonata?”

-“Avrei bisogno del tuo aiuto… devo analizzare il DNA contenuto sulla busta di una lettera che ho ricevuto poco fa”

-“Farò del mio meglio”

-“Sempre gentilissimo, grazie, a presto!”.

Il giorno seguente le analisi arrivarono puntuali in commissariato. Le tracce di DNA appartenevano al signor Guido Angelotti. Si scoprì inoltre che era stato proprio Guido ad accorgersi dei due corpi situati sulla spiaggia e delle due autovetture abbandonate. Che motivo c’era di spedire quella lettera al commissario?

L’intento del signor Angelotti era quello di depistare le indagini…per quale ragione? Chi era il vero assassino? Perchè collaborare con lui?

Il signor Guido Angelotti venne convocato in commissariato e venne sottoposto ad un lungo interrogatorio, al termine del quale confessò di essere stato minacciato di morte da un uomo sulla quarantina subito dopo aver denunciato l’accaduto. Qual era il nome di quell’uomo? Una cosa è quasi certa, si trattava dell’assassino. Lo spaventatissimo signor Guido venne segretamente scortato a casa. Durante il tragitto i poliziotti di scorta in borghese si accorsero di un’automobile sospetta che seguiva e affiancava il signor Guido. Ad un certo punto da quell’automobile sporse una mano con la punta di una pistola. A questo punto non c’erano dubbi.. si trattava dell’assassino. I poliziotti chiamarono velocemente rinforzi ed intervenirono prontamente. Il signor Guido venne tratto in salvo, e subito dopo iniziò un fugace inseguimento, a seguito del quale vennero incarcerati i due malviventi a bordo dell’auto. Si trattava dei fratelli Miano soci in affari con le due vittime. Ora bisognava solo scoprire il motivo del folle gesto e il luogo reale in cui era stato commesso. Dopo qualche ora di interrogatorio i due fratelli sputarono il rospo, ammettendo di aver commesso l’omocidio per il mancato pagamento di un grosso quantitativo di cocaina proveniente dalla Colombia.

Il commissario scoprì anche che le due vittime avevano accumulato diversi debiti nel “mondo” della droga, creandosi molti rivali, sicuramente un altro buon motivo per essere uccisi.

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